Faq

Che cosa è una comunità terapeutica?

Il concetto originario corretto è “terapia della comunità” o “nella” comunità. Dal punto di vista legale, secondo la vigente normativa sanitaria, la Comunità terapeutica è una tipologia di presidio sanitario residenziale e semiresidenziale extraospedaliero, che utilizza uno spazio abitativo alternativo al ricovero ospedaliero. La terapia di comunità si colloca in un luogo di cura intermedio fra l’istituzione ospedaliera e quello familiare. Di qui deriva che i luoghi di cura collocati nella comunità dei cittadini, e non in ospedali e cliniche psichiatriche, vengano definiti anche “strutture intermedie”.

Secondo la normativa nazionale vigente nelle Comunità terapeutiche vengono erogate prestazioni di prevenzione, cura e riabilitazione. I ricoveri, volontari e obbligatori, per gli stati di crisi e di acuzie devono invece essere fatti nei presidi psichiatrici ospedalieri: Servizi Psichiatrici di Diagnosi e Cura e cliniche psichiatriche autorizzate.

Chi può entrare in comunità? Quanti tipi di Comunità ci sono?

Bisogna distinguere fra le varie tipologie di residenzialità psichiatrica cosi come sono regolamentate dalle normative nazionali e regionali. Queste prevedono, accanto alle Comunità terapeutiche riabilitative vere e proprie, le cosiddette SRTR- e (Strutture Residenziali Terapeutiche Riabilitative per trattamenti sanitari di tipo estensivo) anche altre tipologie di strutture a maggiore o minore grado di intensità terapeutica e assistenziale (vedi la DGR n. 424 del 14 luglio 2006 che costituisce la normativa quadro della Regione Lazio aggiornata negli anni recenti da vari decreti commissariali (DCA) – 90/2010; 101/2010; 188/2015 e l’ultimo, del 02 aprile 2019 n. U00121).

Nelle Comunità terapeutiche della Reverie sono inseriti, a seconda della tipologia del programma, pazienti giovani e relativamente meno giovani, per i quali le ASL chiedono un programma di cura e riabilitazione finalizzato ad un cambiamento, che siano in grado di utilizzare le varie tecniche di terapia verbale (psicoterapia) individuale e di gruppo e che siano in grado di gestire il quotidiano attraverso modalità relazionali non eccessivamente disturbate.

La normativa Regionale esclude che nelle Comunità e nei programmi Terapeutici Riabilitativi della nostra tipologia possano essere effettuati ricoveri coatti, ricoveri per patologie organiche o conseguenti ad abusi di sostanze tossiche nonché ricoveri per patologie geriatriche.

Tutte le Comunità Residenziali e i programmi terapeutici riabilitativi della Reverie (ai sensi degli ultimi decreti del Commissario ad Acta sono del tipo Strutture Residenziali Terapeutico Riabilitative – S.R.T.R e semiresidenziali, Centro Diurno – C.D. ).

Quanto costa?

Le rette sono stabilite dalle Regioni di appartenenza: occorre informarsi presso i Servizi Dipartimentali di Salute Mentale delle ASL della propria Regione. Nelle Comunità della Reverie non sono accolti pazienti paganti privatamente, ma solo quelli inviati dalle ASL che garantiscano il pagamento della retta.

Cosa prevede il programma terapeutico?

I programmi terapeutici delle Comunità della Reverie sono articolati e modulati sui bisogni dei pazienti affidatigli in cura. Al programma di base comune a tutte le comunità si aggiungono i programmi relativi allo specifico terapeutico delle comunità stesse. Tutti i programmi sono fondamentalmente autogestiti dagli operatori addetti all’assistenza terapeutica alla persona, unitamente ai loro affidati in cura: gestione della casa, degli spazi personali, della persona, ecc. Queste attività, di tipo “alberghiero” distribuite nell’arco della giornata, occupano soltanto una parte del tempo a disposizione. L’altra parte del tempo, la più consistente, è dedicata alle attività terapeutiche ad orientamento psicologico e psicoterapico, individuali e di gruppo. Una terza parte è dedicata alle attività artistiche e creative, nonché alle attività ludico-sportive e di piccola professionalizzazione. I tempi di relax e di riposo completano la giornata. I tempi morti, non significativi, a differenza di come avviene negli ospedali e nelle cliniche psichiatriche, sono occasionali e marginali. Gli interventi terapeutici e riabilitativi si misurano non tanto e non soltanto nella quantità, ma nella loro qualità intrinseca e nella possibilità della loro integrazione con tutti gli aspetti della vita comunitaria. Non sono interventi a pioggia (tutti insieme in un periodo) o a cascata (uno dopo l’altro ma slegati fra di loro), ma un insieme di azioni terapeutiche significative legate fra loro dalla presenza continua di osservatori (gli operatori di riferimento) che ne colgono il significato profondo e lo riportano alla elaborazione e alla integrazione dei momenti di confronto collettivo, operativo e dinamico. Anche gli operatori terapeutici possono essere portatori di loro dinamiche personali, perciò gli stessi si sottopongono con cadenze regolari alla supervisione di un esperto in dinamiche gruppali ad orientamento psicoanalitico, esterno all’Associazione.

Chi lavora in comunità?

Le professionalità coinvolte nello svolgimento del processo terapeutico, sono quelle previste dal D.P.R. 7/4/94 sulle attività sanitarie. Fra queste, nella evoluzione del modello psico-socio-terapeutico della Reverie, si sono affermate principalmente quelle attinenti alle capacità a sostenere psicologicamente la persona sofferente di disturbi psichici e con problematiche derivate esistenziali. Principalmente, dunque, psicologi ed educatori professionali; a tutti è richiesta, più che la capacità e facilità di fare le cose, una formazione psicodinamica e /o psicoterapeutica, e comunque la capacità di utilizzare un linguaggio comune (di tipo psicodinamico) e di assumere un atteggiamento interpretativo.

Le competenze psichiatriche e quelle infermieristiche sono presenti ma stanno sullo sfondo, pronte ad intervenire nei momenti programmati (per fasce o al bisogno). Il consulente psichiatra, oltre alla valutazione della patologia, che è alla base della scelta del percorso terapeutico, gestisce la terapia farmacologia e mantiene il rapporto con il Servizio inviante attraverso periodiche relazioni psichiatriche.

Come fare per ottenere l'autorizzazione all'inserimento?

Gli inserimenti nelle C.T. avvengono con il consenso del paziente e dell’équipe del Servizio di Salute Mentale competente per territorio. Questo significa che bisogna essere un assistito ASL per usufruire delle Comunità Terapeutiche della Reverie. Occorre anche che il Servizio di Salute Mentale sia disponibile a fare l’invio in Comunità e a partecipare a momenti periodici di verifica.

Le Famiglie devono operare affinché il Servizio, attraverso il referente psichiatrico che ha in cura il paziente, sia convinto dell’utilità della cura in ambiente comunitario e autorizzi di conseguenza l’inserimento e il pagamento della retta a carico della ASL inviante.

E' possibile scegliere una Comunità al posto di un'altra proposta dal Servizio?

Si se della stessa tipologia individuata dal Servizio inviante.
In Italia il diritto alla cura è sancito dalla Costituzione. Il diritto alla cura, perché sia reale, comporta il diritto alla libera scelta del medico e del luogo di cura. In psichiatria il diritto alla libera scelta è stato confermato da varie leggi (fra le quali: Legge 180/78, 833/78) ed è stato recentemente ribadito dal DPR del 14/1/97 e dal Decreto legislativo 229 del 19/6/99, art. 8 bis; recentemente questo diritto alla libera scelta del luogo di cura fa parte delle procedure e dei protocolli delle Unità di Valutazione Multidisciplinari (UVM) costituite in tutte le ASL del Lazio (decreto Commissario ad Acta n: 101 del 9.12.2010); nonostante questo, spesso ci si sente rispondere che, in presenza di analoga struttura pubblica, non può essere esercitato il diritto di libera scelta rispetto ad altra struttura privata autorizzata e/o accreditata. Naturalmente va valutata la qualità della struttura suggerita; nel caso però si preferisca la Comunità liberamente scelta, bisognerà operare per ottenere l’autorizzazione, utilizzando gli strumenti che la ragione e i riferimenti normativi ci mettono a disposizione.

Potrò vedere mio figlio dopo che è entrato in comunità?

Se previsto nel progetto terapeutico, perché ritenuto utile ai fini della evoluzione della cura, sono possibili rientri periodici in famiglia e incontri programmati in Comunità “liberi” , ma anche in presenza dell’operatore di riferimento e di esperti in dinamiche familiari.

E' possibile ricoverare “di forza” mio figlio in comunità? Se non vuole essere ricoverato, come faccio a convincerlo?

La Legge di riforma psichiatrica vieta i Trattamenti Sanitari Obbligatori (TSO) nei Servizi e presidi sanitari extra-ospedalieri. I ricoveri di urgenza, coatti o disposti dalle Autorità sanitarie, devono avvenire nei Servizi Psichiatrici Ospedalieri o nelle Strutture autorizzate. Nelle C.T. non si fanno ricoveri ma inserimenti volontari. La “convinzione” non può essere imposta: le équipe del Servizio inviante e quelle delle Comunità operano in sintonia e in appoggio alla famiglia per spiegare e far comprendere la necessità ma anche l’utilità di una separazione temporanea dall’ambiente familiare. L’inserimento avverrà comunque gradualmente per dare modo di conoscere l’ambiente della comunità e chi vi risiede, dando al contempo modo ai residenti di conoscere chi chiede di entrare.

Questo richiede un tempo più o meno lungo in cui l’affidato in cura e la famiglia, saranno assistiti anche domiciliarmene.

Quanto tempo una persona dovrà trascorrere in comunità?

I tempi della cura in Comunità dipendono dalla gravità della patologia ma sono anche direttamente proporzionali ai tempi della mancata cura, o della cura inefficace, precedenti all’ingresso in comunità e alla cronicizzazione dei sintomi che durante questo periodo è avvenuta. Più lungo è stato il periodo di sofferenza, senza cure adeguate, prima dell’ingresso in Comunità e normalmente più lungo è il tempo di recupero. Più profonde sono le ferite inferte dalla inefficacia delle cure nel periodo precedente l’ingresso in Comunità, più difficile sarà recuperare tutta l’invalidità che il periodo di sofferenza ha causato. La sofferenza psichica presa agli esordi ha un esito più favorevole. La malattia mentale cronicizzata consente spesso solo recuperi parziali: in questo caso si lavora per stabilizzare la situazione ed evitare esiti degenerativi ancora più invalidanti. La normativa della Regione Lazio prevede due tipi di esito: 24/36 mesi per la C.T. terapeutico riabilitative e tempi più lunghi, legati alla evoluzione del progetto terapeutico, per le CT Socio riabilitative. Normalmente i tempi indicati dalle normative ci vogliono tutti. Nei programmi della Reverie sono previste uscite programmate attraverso il percorso di Centro Diurno; percorso che spesso si affianca a quello delle CT già dal secondo anno.

Una volta terminato il percorso terapeutico in comunità cosa dobbiamo aspettarci?

Tenuto conto di quanto detto sopra, quello che ci si deve aspettare se la terapia fa il suo corso, è ciò che è previsto nel progetto terapeutico:

a) il recupero, più o meno completo, degli esiti negativi invalidanti;

b) il contenimento degli esiti degenerativi invalidanti;

c) il rientro in famiglia;

d) il rientro non protetto sul territorio;

e) il rientro protetto in strutture residenziali a minore intensità assistenziale della tipologia Strutture Residenziali Socio Riabilitative (S.R.S.R.) o Case Famiglia più o meno”protette”

Avere chiaro il possibile obiettivo su cui mirare, permette di rendere più efficiente il processo di cura ed evita illusioni e possibili dolorose disillusioni. Per questo, il primo contatto e i colloqui clinici di valutazione che preludono all’ingresso sono di fondamentale importanza.

Che rapporti avete con gli operatori della ASL e del DSM?

La collaborazione con l’equipe terapeutica del Servizio inviante è di fondamentale importanza. Le normative prevedono che le procedure di ingresso e di dimissione siano concordate con il paziente, gli eventuali referenti familiari e il Servizio di Salute Mentale che fa l’invio. Queste normative sono in continua evoluzione per questo è necessario mantenere contatti continui con la ASL di competenza territoriale (dove si risiede).

Che rapporti dobbiamo avere noi con gli operatori del DSM?

E’ importante capire che i referenti sanitari principali e permanenti del paziente sono i medici e gli assistenti sociali del Servizio di Salute Mentale di appartenenza. Presumibilmente questa appartenenza terapeutica dura più a lungo di quello che sarà il percorso in Comunità. La Comunità Terapeutica opera su delega transitoria del Servizio di Salute Mentale competente per territorio del paziente. E’ necessario quindi tenere informato con continuità il Servizio di Salute Mentale sull’evoluzione del percorso terapeutico, questo anche quando si sarà lasciata la Comunità.

Si può uscire quando si vuole dalla C.T.?

Solo se il progetto terapeutico lo prevede, con la frequenza concordata con gli operatori di riferimento. La frequenza sarà molto più intensa specialmente nelle fasi di preparazione all’uscita e in esecuzione di progetti di reinserimento.

Quando si entra in comunità è vero che si perdono i contatti con gli amici, con la famiglia, col proprio ambiente?

I programmi della Comunità, specialmente nel preparare i progetti di uscita, si giovano delle risorse individuali e sociali che non si sono perse con la “malattia”: amici, famiglia e territorio, se ben utilizzati, sono una risorsa importante per il buon esito della terapia

Come sono i ragazzi che stanno nelle vostre comunità? Che problemi hanno?

Per quanto possibile, le tipologie di intervento sono raggruppate per programmi affini. Oltre alla distinzione per previsione d’esito, gli assistiti sono divisi per fasce d’età e per complessità della patologia: sono comunque tutti pazienti ASL con patologia psichica (cioè non organica oppure dovuta ad abusi o dipendenza da droghe, o a demenza senile).

Troverò lavoro stando in comunità? potrò riprendere gli studi?

I programmi delle Comunità tendono alla acquisizione delle capacità non aggredite e compromesse dalla “malattia”. Spesso si avviano o si riavviano programmi di studio o di piccola professionalizzazione. La Comunità non ha però le competenze delle Agenzie sociali che svolgono questa funzione (Centri di formazione professionale e/o di avviamento al lavoro). Queste Agenzie Sociali sono invece in contatto con i Servizi Sociali della ASL. Per questo è necessario mantenere il rapporto con il Servizio di Salute Mentale di provenienza anche quando si è usciti dai programmi della Comunità.

Troverò lavoro stando in comunità? potrò riprendere gli studi?

I programmi delle Comunità tendono alla acquisizione delle capacità non aggredite e compromesse dalla “malattia”. Spesso si avviano o si riavviano programmi di studio o di piccola professionalizzazione. La Comunità non ha però le competenze delle Agenzie sociali che svolgono questa funzione (Centri di formazione professionale e/o di avviamento al lavoro). Queste Agenzie Sociali sono invece in contatto con i Servizi Sociali della ASL. Per questo è necessario mantenere il rapporto con il Servizio di Salute Mentale di provenienza anche quando si è usciti dai programmi della Comunità.

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